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PREMESSA

Anzitutto è necessario premettere che il presente contributo nasce dall’esigenza di fare un po’ di chiarezza sul tema della tutela degli anfibi, rappresentando una ricostruzione sistematica delle norme poste a tutela degli anfibi caudati del genere triturus, con particolare attenzione al profilo della detenzione e allevamento degli stessi; per cui  anche il linguaggio adottato non è prettamente tecnico onde evitare che il tutto risulti incomprensibile al lettore.

E’ altresì doveroso premettere che, al di là della specifica tutela garantita dalla normativa vigente, gli anfibi di cui trattiamo sono tutti minacciati di estinzione (nei loro ambienti naturali), anche se tale minaccia solo raramente è determinata dalla pratica del prelievo a scopo collezionistico, essendone componenti più rilevanti la progressiva antropizzazione degli habitat naturali, nonché l’introduzione di altre specie animali nei medesimi habitat, quali trote e i pesci del genere Gambusia (che secondo alcuni - vedi Aquarium 4/83 -   ha decimato la presenza di T. vulgaris nella laguna di Venezia) che sono noti per la loro voracità nel cibarsi di larve e uova dei nostri tritoni.

Ciò posto, possiamo cercare di ricostruire i principali filoni normativi che in tempi diversi si sono occupati della tutela dei tritoni, basandosi tutti sulla incontestabile necessità di garantire il perpetursi in natura di tali importantissime forme di vita (spesso poco considerate in quanto molto più “discrete” e quasi invisibili ad un occhio poco esperto).

LA TUTELA DI TIPO INTERNAZIONALE

Il punto di partenza per la nostra analisi non può che essere rappresentato dalla Convenzione di Washington del 3 marzo 1973 sul commercio internazionale di specie di flora e di fauna selvatiche in pericolo di estinzione (c.d. CITES), ratificata con legge in Italia nel 1975, la quale, nell’imporre agli Stati firmatari l’obbligo di garantire il controllo del commercio di alcune specie animali e vagetali maggiormente minacciate, reca un’appendice costituita da tre elenchi ( usualmente definiti appendice I, appendice II e appendice III) nei quali sono inseriti i nomi delle specie protette e la cui detenzione o commercio debbono essere regolamentate a norma della Convenzione. Potrà apparire strano, ma in tale documento non è presente alcun riferimento ai tritoni di cui ci interessiamo, poiché gli unici esponenti di anfibi-urodeli presenti nelle liste sono l’ambystoma mexicanum e il dumerilii.

L’altra convenzione internazionele che invece riguarda direttamente i nostri tritoni è la Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, inerente la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa. La Convenzione di Berna è stata ratificata in Italia con la Legge 5 agosto 1981 n. 503, la quale ne ha disposto l’immediata esecuzione su tutto il territorio del nostro Stato.

Come precedentemente visto nella Convenzione di Washington, anche la Convenzione di Berna reca quattro allegati che individuano rispettivamente: Le specie di flora rigorosamente protette(I), Le specie di fauna rigorosamente protette(II), Le specie di Fauna protette(III) e l’elencazione dei mezzi e metodi di uccisione, di cattura ed altre forme di sfruttamento vietati (IV).

Ed è proprio in questi allegati che, per la prima volta in ambito internazionale, vengono presi in considerazione gli anfibi caudati del genere triturus.

Infatti, nell’allegato II troviamo inserito il triturus cristatus (e nessun altra specie, nonostande ad esempio vi sia inserita la comunissima podarcis muralis), mentre nell’allegato III, a proposito di anfibi, è posto un generico richiamo a tutte le specie non inserite nell’allegato II.

Svolte tali premesse, è il momento di individuare il grado di tutela imposto dalla convenzione verso le specie animali inserite nei due allegati di riferimento (II e III).

Per quanto concerne l’allegato II, l’art. 6 della Convenzione obbliga lo Stato contraente ad adottare le opportune leggi per provvedere alla salvaguardia delle specie elencate nell’allegato, vietandone:

-         qualsiasi forma di detenzione, cattura ed uccisione intenzionale;

-         il deterioramento o la distruzione dei siti riproduttivi;

-         la molestia intenzionale;

-         la raccolta delle uova;

-         la detenzione ed il commercio;

E’ appena il caso di notare che il valore precettivo della norme in esame è inesistente fino a che lo Stato contraente (Italia ndr) non abbia adottato la legge richiamata all’art.6.

La questione si presenta ancora più nebulosa quando si passa ad analizzare il contenuto dell’art. 7 della Convenzione che riguarda le specie “solo protette” di cui all’allegato III.

Ogni parte contraente adotterà le necessarie ed opportune leggi  e regolamenti onde proteggere le specie di fauna selvatica enumerate all’allegato III”: questa è la immediata tutela offerta!!!!; si prosegue poi affermando che “qualsiasi sfruttamento della fauna selvatica elencata all’allegato III sarà regolamentato in modo da non compromettere la sopravvivenza di tali specie..”: altra espressione priva di qualsiasi valore precettivo, posta la sintomatica lentezza del nostro legislatore nel promulgare leggi su queste materie.

Quella fino ad ora descritta è la tutela, di carattere internazionale, riguardante (o meglio che avrebbe dovuto riguardare i triturus) gli anfibi da noi trattati, e che si risolve in una tutela del tritone crestato sulla quale però permangono dubbi fino a che il Parlamento non approvi una legge specifica sulla materia, in esecuzione della Convenzione.

LA TUTELA COMUNITARIA

Come noto, una delle implicazioni immediate dell’appartentenenza dell’Italia all’Unione Europea (già CEE) è costituito dall’obbligo per la stessa di recepire –e rendere applicabili nel proprio territorio - una serie di atti normativi, alcuni dei quali immediatamente applicabili nel territorio dello Stato membro e altri necessitanti di un ulteriore intervento dello Stato al fine di garantirne l’adeguamento con l’ordinamento interno.

E per fortuna fra le varie competenze comunitarie è stata inserita anche la tutela ambientale, che ha dato luogo ad una consistente attività di regolamentazione comunitaria della materia, giungendosi anche a trattare, infine, dei nostri tritoni.

L’atto comunitario che, dal nostro punto di osservazione,  riveste maggiore interesse è certamente la cd. “Direttiva HABITAT” 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali  e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Tuttavia la direttiva, per sua stessa natura, non costituisce immediatamente obblighi per gli abitanti degli Stati membri, ma necessità di una attività normativa di recepimento predisposta ad hoc da ciascuno Stato membro.

Nel caso in esame, la Direttiva Habitat è stata recepita ed attuata nel nostro ordinamento con il D.P.R. 8settembre 1997 n. 357.

L’articolo che maggiormante catalizza la nostra attenzione è il n. 8, rubricato tutela delle specie faunistiche, nel quale, richiamando l’elenco delle specie riportate all’allegato D, si formula esplicito divieto di:

-         cattura od uccisione nell’ambiente naturale;

-         perturbare le specie in occasione di accoppiamento, migrazione, svernamento  ed ibernazione;

-         distruzione o raccolta delle uova o nidi nell’ambiente naturale;

-         danneggiare i siti di riproduzione o di sosta;

-         possesso, commercio, trasporto, scambio e commercializzazione di esemplari prelevati dall’ambiente naturale.

Come si vede la tutela è molto simile a quella indicata nella Convenzione di Berna, salvo però notare come tutti i divieti di detenzione e commercializzazione abbiano ad oggetto le specie prelevate in natura, quindi indirettamente facendo salva la detenzione di chi possieda animali riprodotti in cattività, circostanza che per i nostri tritoni assume una rilevanza essenziale. Resta il dubbio, tuttavia, di come convincere le autorità che la specie da noi detenuta è nata in cattività e non è stata prelevata in natura, posto che in questa materia non esiste uno specifico sistema di controllo o gestione delle riproduzioni in cattività.

A questo punto l’interrogativo fondamentale che dobbiamo porci è quallo di valutare quali specie di tritoni siano presenti in questo famigerato allegato D al regolamento di attuazione.

La nostra curiosità è presto soddisfatta, infatti troviamo, nella sezione dedicata agli anfibi (oltre ad altre specie che in questa sede non interessano), il triturus carnifex, cristatus, italicus, karelinii e marmoratus.

Delle altre specie (alpestris, vulgaris, boscai, helveticus, vittatus etc.) nemmeno l’ombra……..mah…

NOTE DI CHIUSURA

Dopo questa breve ricostruzione normativa sulla tutela del gen. Triturus ciascuno potrà trarre le conclusioni che ritiene più opportune, assumendosi, ovviamente, le responsabilità del caso.

Dico questo perché oggi la potestà normativa in materia di tutela ambientale spetta alle singole Regioni, le quali stanno progressivamente legiferando a livello locale al fine di garantire e  tutelare la rispettiva fauna autoctona; purtroppo questa attività è ancora oggi piuttosto frammentata e di non facile trattazione ed analisi, considerato, altresì, che alcune Regioni non hanno adottato nessun provvedimento in materia.

Possiamo concludere dicendo che in via generale non sembra esistere una norma a carattere nazionale che proibisca l’allevamento dei triturus, sempre che gli esemplari allevati provengano da riproduzioni in cattività  e che sia possibile dimostrare alle autorità tale circostanza. Sul punto in futuro sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che da un lato garantisse al meglio la tutela degli habitat  e delle specie e dall’altro non rinunciasse a regolamentare la detenzione degli esemplari nati in cattività.